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lunedì 26 agosto 2013

Apollineo vs. dionisiaco

di Fabio Lucchi 


• Dopo avere terminato la lettura dei "Misteri", sono stato anche a Santa Giuliana: concordo nella sensazione di cui si è parlato anche nella presentazione del libro a Vigo, che si tratti di un luogo davvero particolare e chissà come doveva essere solo non tantissimi anni fa, senza la funivia.
Ho sentito dire che in Oriente, nei luoghi dove hanno vissuto e praticato monaci buddhisti la natura è più rigogliosa, c'è una serenità speciale che si protrae anche a distanza di molti anni dalla scomparsa di queste persone con caratteristiche non comuni. Vai a capire.

In questo è facile sentirsi simili a Stauber: tanti elementi raccolti, tante suggestioni che sembrano portare vicino ad "un qualcosa" che alla fine sembra sempre comunque allontanarsi ed aprire verso nuove ipotesi, senza mai arrivare ad una "quadratura" definitiva.
I Misteri del Cjaslir mi hanno riportato per una serie di analogie ad argomenti studiati ormai tanti anni fa e a suggestioni più recenti. Mi riferisco prima di tutto alle modalità conoscitive che Daniel Zen e Dorothea simboleggiano e che rimandano al tema dell' "apollineo vs dionisiaco", a questi due "mondi" che si ritrovano variamente declinati non solo nella cultura greca e non solo nelle regioni europee.
Ricordi liceali riportano ai passi del Simposio di Platone in cui Diotima, la "maestra" di Socrate di origine tracia che curava con l'erba di Zalmosside e spiegava che le cose possono essere e non essere anche nello stesso tempo, non prima in un modo e in seguito in un altro: la sua descrizione aiuta Socrate a delineare la "figura" del "tìmetaxú", di Eros ma anche di tutti i "daimones" che stanno fra le cose, fra le diverse dimensioni e "scompigliano" l'ordine logico e nello stesso tempo fanno "girare" le cose della vita. 
Tutto questo appartiene alla sfera di Dioniso e si contrappone ad Apollo, il dio che vede e colpisce da lontano con l'arco (anche Zen aveva fra le sue caratteristiche quella di dovere avvistare come le oche del suo segno famigliare)... le associazioni potrebbero proseguire e richiedere competenze specifiche che non mi appartengono e per le quali potrebbe essere interessante tornare a leggere i testi di Giorgio Colli, anche quelli in cui si ipotizza che anche Apollo - prima di essere la figura mitologica che conosciamo -, abbia radici arcaiche che rimandano anch'esse ad una tradizione dionisica più oscura, legata allo stato di manìa come situazione favorente la capacità delle pizie di vaticinare il futuro attraverso enigmi, ecc.

Questa cosa di Dioniso e di Apollo, del dio dell'arco (che conosce colpendo da lontano) e del dio della lira (che conosce immergendosi nell'oggetto della conoscenza), ce la ritroviamo da altre parti, in altre letture più vicine a noi. Ad esempio in Thomas Mann che nei suoi libri riportava proprio in prima pagina l'effige dell'arco e della lira: questa tensione fra opposti mondi passa probabilmente attraverso il tempo, attraverso i luoghi e ripropone un qualcosa di insito nella nostra psicologia, nel modo di stare insieme in modo sociale, ecc., come se fosse una sorta di sistole e diastole in ritmo del procedere delle cose e delle persone.
Non credo che ciò sia solo un argomento di conversazione vacanziera fine a se stesso..rimanda anche al senso della conoscenza scientifica, ai "saperi forti" che tendono ad imporsi-in un momento in cui le conoscenze o sono "basate sulle evidenze" (apollinee?) oppure non sono- sulla "debolezza" di molte discipline che tuttavia sopravvivono anche attraverso strumenti diversi.
Torno ai Misteri, a Dorothea e alla "sorelle" passando ancora per la Grecia e per Pergamo in particolare per recuperare una riflessione sulle radici dei percorsi di cura che sembrano andare a lambire quella complessità che Stauber coglie senza potere catturare appieno.
A Pergamo il tempio della medicina più importante di tutto l'ellenismo, c'era sì il tempio del dio della medicina ma accanto ad esso ce n'è uno più piccolo di un dio minore, di un tì metaxú verrebbe da dire, che è Telesforo, io dio/daimon della guarigione, il dio "che porta le cose a compimento": i pazienti, una volta ricevuta la cura del dio della medicina, si recavano presso il tempio di Telesforo per una notte in attesa di sogni che indicassero la guarigione o meno... siamo quindi, mi pare, in una dimensione non molto apollinea.

Con questo voglio dire che dalla grecità in poi ha continuato a porsi, in tutti i campi, il problema della irriducibilità ad un pensiero "unico" e che alla fine questo ritorna sempre o quasi anche quando o in quei settori dove sarebbe comodo negarlo o "addomesticarlo".
Non so se ci sia una soluzione per tenere insieme queste dissonanze o si debba imparare ad ascoltare e parlare questi due linguaggi...
I Misteri del Cjaslir mi hanno riportato a ripercorrere questi pensieri in un modo più o meno confuso: a me è piaciuto averne avuta l'occasione aggiungendovi del materiale della storia fassano che non conoscevo e per il quale La ringrazio.

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