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lunedì 2 dicembre 2013

Segni, sogni e sante



• E di questa immagine, che mi dite? è talmente insolita ed inquietante che il lettore dei “Misteri” per lo più resta spiazzato, quasi intimorito: pochissimi infatti me ne ha chiesto la ragione.
Se devo essere sincero, all’inizio l’ossatura del romanzo non prevedeva nulla di tutto ciò, poi ad un certo punto quell’immagine si è imposta con la forza della necessità (potenza della suggestione!), finendo addirittura in copertina.

Ebbene, questo è uno dei “segni” che vengono inviati al povero Peter Stauber (in sogno e nella realtà), forse quello più eloquente, quello che gli consente di rispondere alla domanda: “che cosa si nasconde dietro il culto delle Sante Vergini del Cjaslir”? 

Sulle origini del culto delle cosiddette “Tre Sante Vergini di Maranza” non si sa molto. Si tratta per lo più di leggende e dicerie, e quel poco è riferito nel romanzo. Ma Aubet, Kubet e Gwere: che razza di nomi sono questi? Già, è un bel problema, ma ciò che interessa qui è un altro aspetto della questione: che razza di raffigurazione è mai questa? Cosa ci fa quella povera Santa Gwere seminuda appesa ai rami degli alberi? e le due sorelle oranti ai suoi piedi, rappresentate quasi come la Madona e San Giovanni ai piedi della Croce sul Calvario?

 In effetti questa è l’unica immagine al mondo (per quanto se ne sappia a tutt’oggi) che raffigura le tre sante in quella postura. Solitamente esse appaiono sullo stesso piano, sostanzialmente connotate da attributi iconografici equivalenti: la palma del martirio, il diavolo alla catena, oppure vari attrezzi agricoli, il tutto in modo assai convenzionale, nonché compatibile con la tradizione agiografica che le contraddistingue. 
Per gli studiosi quest’immagine è un vero enigma. Qualcuno la accosta a Santa Kummernis, raffigurata nell’iconografia popolare crudamente martirizzata in croce, irsuta e con tanto di barba (per sfuggire al pagano stupratore aveva ottenuto dal Signore di poter assumere sembianze maschili...), ma come argomenta acutamente Ernst Büch (Der Schlern 1974), qui le cose non tornano: non c’è barba né peluria, e soprattutto non c’è croce, non c’è sangue, non c’è martirio.

C’è invece questa struttura “a triangolo”, che pone una delle tre figure al di sopra delle altre, quasi come una divinità, o comunque una entità sovraordinata. L’accostamento che viene fatto da Büch è con le triadi femminili delle culture antiche (per es. le “Tres Matres” celtiche), spesso raffigurate in modo gerarchico. A me è venuto spontaneo l’accostamento con le tre Vivane che compaiono nella leggenda “La Vivana e l cian”, riferita dal De Rossi (Fiabe e leggende 1984), quando tornano per pronunciare la maledizione, o l’incantesimo, contro colui che le ha offese: quella centrale assume chiaramente il ruolo di “Gran Vivana”... Insomma un’immagine che ha ben poco a che spartire con l’iconografia cristiano-cattolica.

De resto chi conosce la religiosità delle popolazioni afro-americane dei Caraibi o del Sudamerica sa benissimo come dietro le figure dei santi cristiani i discendenti degli schiavi abbiano continuato e continuino a venerare le proprie divinità ancestrali, gli Orixás. E come nel romanzo di Jorge Amado la statua di Santa Barbara (quella dai fulmini) improvvisamente prende vita sotto le sembianze di Yansã per andare tra la gente per sistemare le cose, così nel nostro è l’effige di Sant’Orsola che sparisce e assume forme umane per operare in mezzo al popolo, nella figura inafferrabile di Ursina, o di quell’entità che si rivela a Stauber sotto questo nome...

Troppo azzardato, eh? Cosa c’entra il Brasile con le valli alpine? Nulla: si tratta pur sempre di un romanzo.
Però a pensarci bene nella tradizione ladina c’è qualcosa di simile: la statua di Santa Giuliana in caso di pericolo si anima e scende dall’altare con la spada sguainata per mettere in fuga i nemici del popolo. Niente male, non è vero?

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