UN LIBRO, UNA STORIA: Recensioni, commenti, eventi e curiosità

mercoledì 11 settembre 2013

La voce delle Vivane

A proposito dei "Fragmenta"...

• C'è chi li considera tra le cose migliori del libro, c'è chi fatica a prenderli sul serio. Punti di vista. Se però questo significa supporre che essi contengano affermazioni sulla realtà storica dell'epoca, allora non ci siamo. Sarebbe come dire che la stupenda opera di Filip Moroder riprodotta qui accanto sottintenda che le Vivane, Anguane o Ganes che dir si voglia, esistono davvero.
Qui siamo su un altro terreno, quello della creazione artistica, o letteraria (a prescindere dal risultato, beninteso). Ed eccola dunque la voce di queste creature, eccolo il "Lament de le Vivane", al frammento n. 9. E affinché la cosa fosse chiara, ecco l'indizio, nel commento del narratore:
"Sono i versi di uno strano canto che ho udito un giorno dalla voce dolcissima di Ursina sull'Alpe di Dier. Sembra contenere un dolente messaggio ai posteri, o un ammonimento. Ne ho trascritto rapidamente il testo a sua insaputa, ma non c'è stato il tempo di annotare la melodia. Un giorno forse lo farò, l'ho ben impressa nella memoria: è molto strana anch'essa, lamentosa, ma toccante".

Bene: Piere dal Polver ha colpito ancora. Ora è possibile ascoltarla, la voce delle Vivane. "Misteri", miracoli della tecnica (e del web). Cliccate qui, se non ci credete:
http://www.youtube.com/watch?v=6l_Mm_vALcA&feature=em-upload_owner

"O belle montagne, nostra magione
se l'uomo sapesse chi noi siamo
se sapesse che teniamo nelle nostre mani
salute, ricchezza e amore
non saremmo scacciate con il cane..."

Chi è Ursina? Chi è questo "Io narrante" alternativo che parla in nome di "quelle donne" e che si contrappone a Peter Stauber, pur nel tentativo di fargli intuire ciò da solo non riesce a comprendere razionalmente? Se vogliamo dargli un volto potremmo tornare per un momento a un'immagine già nota ai lettori di queste pagine: essa non è estranea alla genesi del nostro personaggio. 
Ma accidenti, questa non è una statua, è una foto, il ritratto di una persona "reale"!... E poi dicono che le Vivane non esistono! Ma allora? Com'è questa storia? Qualcosa vi ha già detto Cesare Poppi in un suo commento, ma cosa c'entra tutto questo col romanzo? Beh, magari ci torniamo sopra un'altra volta, se volete, ok?

P.S.:  Potete ascoltare l'intero brano nel cd "Marascogn - L poet e la vivana" (Union di Ladins de Fascia 2008). La prima strofa del testo proviene da un racconto della tradizione orale fassana, raccolto all'inizio del secolo da Hugo de Rossi (ora in: "Fiabe e leggende della Valle di Fassa", ICL 1984). Per informazioni e richieste:

union@ladinsdefascia.it
info@istladin.net
www.istladin.net

giovedì 5 settembre 2013

Il pensiero di un "Cimbro"

ovvero: Andrea Nicolussi Golo 

• Fabio Chiocchetti in un altro tempo lo si sarebbe chiamato uomo di multiforme ingegno, musicista e musicologo, studioso di linguistica, critico letterario, romanziere. Si interessa di Storia, quella con la S grande, ha dato alle stampe libri in italiano e ladino, ha incontrato la marginalità e ne ha scritto: indimenticabile il suo racconto “Il Volo di Icaro” e amaro il suo disincanto in “Icaro non vola più”. Ecco, quello che mi intimidisce in Fabio Chiocchetti è proprio questo, il suo approccio al sapere, fuori moda nel mondo di oggi. Spero di non offenderlo se lo definisco rinascimentale, ma per me è un grande complimento: di quei giganti ha la curiosità e lo stupore davanti alle cose anche se con la sua aria tranquilla da signore di campagna cerca di nascondersi.

Adesso Fabio si presenta con questo libro importante. Qualcuno, che dal cognome potrebbe avere origini dalla sua terra, recensendolo gli augura di diventare un best seller, perché ve ne sono tutti gli ingredienti, dice: mistero, suspense, crimine, religione e sesso, anch’io mi auguro e auguro a Fabio che il libro venda moltissimo (anche perché se non sbaglio i guadagni andrebbero impiegati per una buona causa), ma se ciò avvenisse non sarà di certo per gli ingredienti sapientemente amalgamati come si usa fare oggigiorno per costruire un best seller, un po’ di avventura, un pizzico di religione… (qualche grasso frate lussurioso fa sempre la sua bella figura dopo “Il Nome della Rosa”), una manciata di mistero, efferatezze assortite, una spruzzatina di storia vera e sesso QB… quanto basta. No, se questo libro avrà una grande diffusione, se avrà successo, sarà solo perché il mondo è un pochino migliore di quello che comunemente pensiamo, perché questo è uno di quei libri non inutili dei quali parlava Nuto Revelli nella sua poesia dedicata a Mario Rigoni Stern e a Primo Levi, autori appunto di libri non inutili, a giudizio del grande Nuto (e mio naturalmente). Sì, questo è un libro che vale la pena di leggere, un libro bello perché non facile, a mio avviso tutto il contrario, purtroppo, di un best seller di oggi.

Sono tanti gli incontri che si fanno dentro quelle 446 pagine e per tenere conto di tutto occorre davvero impegnarsi. Il primo incontro e non poteva essere diversamente è con la lingua ladina, una lingua che io non conoscevo. Per uno come me, che si occupa di lingue piccole ogni giorno questa potrebbe essere una confessione di inefficienza, ma non è così, il Ladino lo conosco e pensavo anche di conoscerlo piuttosto bene, ma non conoscevo questa lingua potente ed evocativa, che ha poco a che vedere con il ladino dei mass media. Ecco l’aggancio forte al tema di oggi: questo è ladino letterario, ben diverso da quello necessariamente usa e getta di una pagina di quotidiano. (...) Per le lingue piccole la cosa è ancora più complessa, difficilmente le lingue piccole riescono a cambiare tono ad avere registri diversi da quello orale, occorre impegno e conoscenza, conoscenza e impegno, entrambe profuse a piene mani da Fabio Chiocchetti in questo libro per il suo Ladino. 

Il secondo incontro è l’orso, il totem delle genti alpine, rispettato invocato e odiato in ugual misura, simbolo della forza primigenia della natura. Simbolo di una sacralità infinitamente lontana da una religione che il Concilio di Trento vuole cristallina di fede purissima, di solo cielo. Simbolo di una religione di terra. E in fondo questo racconta il libro lo scontro tra la sacralità della terra con la sacralità del cielo, uno scontro tra il corpo e l’anima. A specchio con l’orso l’altro incontro è con Nikolaus Krebs von Kues il vescovo di Bressanone, il cardinale filosofo, teologo, umanista, giurista, matematico, astronomo, l’uomo del Concilio di Basilea, l’ambasciatore del papa a Costantinopoli che, come sorgente carsica di sapienza, emerge per ricordarci qua e là il giusto equilibrio tra ragione, fede e natura. Io sono devoto a Nikolaus Krebs, Nicolò Cusano, mo lo è, anche se non esplicitamente dichiarato, pure il protagonista della storia… e forse anche Fabio Chiocchetti.

Naturalmente incontriamo il vescovo valligiano Daniel Zen da Vig, o meglio il suo biografo alter ego narratore Peter Stauber, che non può non raccogliere in sé anche molta della personalità di chi scrive. E poi incontriamo le donne, le dee della fertilità mascherate sotto mille maschere ma sempre riconoscibili, e poi le donne della sua valle, sua di Daniel ma anche sua di Fabio: donne che la fatica rende misteriosamente belle e forti. Donne a cui il libro è esplicitamente dedicato.

Non voglio svelare la storia, oltre a quello che recita il risvolto di copertina: “storia di un santo vescovo e di una presunta strega”, ma se per caso coltivate delle curiosità pruriginose attorno a streghe, inquisitori, uomini di religione, torture,... lasciate perdere, non provate nemmeno a leggere questo libro, rimarreste delusi, andate in una qualsiasi libreria e ne avrete da stufarvi: scaffali pieni di libri di genere vi aspettano. Questo non è un libro di genere, non lo è per come è nato, da fonti storiche, non lo è per come è scritto: io che l’ho appena finito di leggere posso assicurarvelo.
Se invece vorrete sapere qualcosa di più e di più profondo, di vero (nonostante l’artificio del romanzo) di noi, e metto in questo noi anche la mia gente cimbra, se vorrete saperne di più delle genti delle Alpi della loro fede perduta, che come i nativi d’America dava anima ad ogni essere del creato vivente e non, questo libro avete il dovere di leggerlo: vi farà riflettere a lungo. Grazie Fabio.


(Dalla presentazione de “I Misteri del Cjaslir”, in occasione del convegno “Le Parole del Cuore”, Festival della montagna consapevole Tra le Rocce e il Cielo, 30 agosto 2013)


A proposito di Cimbro mi viene in mente che nella mia lingua madre sono innumerevoli le tracce di antichi credi: il termine arcaico “hagezusa” per esempio, che stava ad indicare le sacerdotesse silvane, guaritrici e indovine, è passato nei dialetti germanici come termine dispregiativo “zusl”; nella lingua cimbra, “züzzl” conserva invece ancora intatte le sue connotazioni benigne, ancora oggi ti può capitare di sentire una vecchietta rivolgersi ad una ragazza in fiore dicendole “Du pist a züzzl”, e ad una bambinetta cortese e simpatica con il vezzeggiativo “Schauge betta schümma züzzele du pist”, ignorando naturalmente con questo di evocare le antiche sacerdotesse, ma per me che “so” ogni volta è un tuffo al cuore e non posso non andare con il pensiero a Dorothea e alle altre, a tutte le altre.

martedì 3 settembre 2013

Sulla presunta "religione delle streghe"

Un flash di Cesare Poppi, antropologo


• Ho troppi interrogativi - ma anche qualche certezza - sulla plausibilità di una sopravvivenza in epoca storica di una “religione” matriarcale, ecologista, pacifista, anarchica e buonista, nonché “monogenitrice/agamica”, per prendere gli intermezzi “sul serio” - pur nel senso fictional del termine (li trovo in tutta franchezza la parte meno convincente del lavoro: si concedono troppo al lettore dopo la fatica di seguire il dotto filologo). 
Questo non perché non creda alla “continuità” di certe espressioni (e frammenti di forme) culturali etc... - al contrario. È che non penso affatto, come hanno fatto la Murray (Ginzburg ed altri poi) che sia mai esistita una “religione” di quel tipo, con le sue teologie, liturgie, forme organizzative speculari e alternative alla “religione” così come si è configurata in quei secoli. 

Ho avuto modo di frequentare una “religione pagana” con una certa profondità d’esperienza per capire, secondo - certo - analogie etnografiche complesse, come non sia la “sostanza” di quello che uno “crede” ciò che conta, ma una compiuta ed impellente “forma” (Marx - forse Cassirer) dovuta alla micidiale condizione materiale dell'esistenza. Una Dorotea in QUEI termini è concepibile solo dal NOSTRO punto di vista: è dunque, etnostoricamente, a mio avviso etnostoricamente-centrica. Altrimenti non si spiega - ad esempio - come i Vagla neoconvertiti (NE Ghana) vadano a messa poi tornino a casa a sacrificare agli antenati, o come le prime “streghe” confessassero ingenue e tranquille: erano “su un altro pianeta culturale”. Forme dunque dell'esperienza religiosa incommensurabili ma storicamente hinged (intraducibile: “innestate le une sulle altre...”). Fra queste forme, in sintesi, c'è una differenza cruciale - cognitiva, psicologica, esperienziale: sono - dal punto di vista della cultura religiosa storicamente vincente (Il Libro, scrittura, interpretazione, potere clericale etc...: Giudaismo, Cristianesimo ed Islam, non a caso in sempiterno conflitto) - “dominanti” non solo nella forma, ma a fait historiquement accompli, anche poi nel dettare la forma del contenuto. 

Dunque non “religioni alternative”, come le vogliono i neopagani, che propongono caricature grottesche, ovvero modellate su forme di religiosità storicamente e culturalmente incommensurabili.
In sostanza: per me l'episodio “stregoneria” è - in tutto e per tutto, come già ho scritto e spero di poter prima o poi ribadire con più sostanza - un fenomeno largamente “moderno” - moderno e giocato DENTRO la modernità - e non sullo scontro fra una “modernità” vincente di contro ad una “tradizione” demonizzata e morente (mi fanno un po' paura in questo senso le letture “new age sotto l'ombrellone” che traspaiono da certi commenti nel blog). Versione illuminista oggi obsoleta, ma comunque vincente nelle sue versioni populiste...