UN LIBRO, UNA STORIA: Recensioni, commenti, eventi e curiosità

giovedì 31 ottobre 2013

Un "santo" vescovo?

Ovvero: il maschio di fronte al "mistero" dell'universo femminile


• Viso affilato, sguardo magnetico. Non si può non restare affascinati da questo ritratto...
Quella del vescovo Daniel Zen è e resta una figura controversa. Roland Verra osserva che nel romanzo essa è un po’ troppo idealizzata, "poiché sappiamo che chi detiene il potere non può essere un santo"...
Vero: forse nella realtà Daniel non era esattamente uno “stinco di santo”. Le censure che gli furono rivolte in varie circostanze lasciano trasparire qualche dubbio sul suo effettivo comportamento (ah, quell’ “astuto fassano”!...). Ovviamente sono sospetti che il suo immaginario biografo – da buon amico – si premura di smentire.
Ma questo appartiene al romanzo, il resto lo dovranno appurare gli storici.

Cogliendo invece il ruolo che tale personaggio ricopre sul piano dell’invenzione letteraria, la mia amica O.R. avanza una “critica” di segno opposto: avrei dovuto osare di più.
“Mi sarebbe piaciuto vedere Daniel entrare di più, come uomo e religioso, nel rapporto con Dorothea e con se stesso. Alla fin fine provenivano entrambi dallo stesso mondo. Forse in quel momento avresti potuto approfondire il suo essere “maschio” e condurre una riflessione su questo. Ci si concentra sul rapporto tra i sessi: oggi le donne guardano molto se stesse, ma l’uomo – al di là degli stereotipi – che cos’è, che cosa dice di se stesso, come si vede?...” 

Eh già, avrei potuto... Raccontare del rapporto tra Uomo e Donna, in un preciso contesto storico-culturale, una sfida mica da poco. In confronto, ricostruire determinate vicende documentate è un gioco da ragazzi. A dir la verità ci ho provato anche, ma accidenti, per noi maschietti comprendere il mondo femminile è già un problema in generale: lì sta il vero “mistero”... 

Ci ho provato, senza riuscirci probabilmente, ma non attraverso Daniel, bensì attraverso Peter, suo alter ego, personaggio fittizio, che in quanto tale offriva totale libertà all’immaginazione.
Insomma Daniel più di tanto non poteva addentrarsi, per via razionale, nel rapporto con Dorothea, con la sua visione religiosa e la sua formazione tomista appresa presso i gesuiti. Più sale lungo la scala del potere e più si allontana da Dorothea. È ben vero che provenivano entrambi dallo stesso ambiente, ma ho preferito ugualmente attenermi a un'ipotetica differenza “strutturale” tra Uomo e Donna, anche e soprattutto nella cultura popolare. Per questo ho voluto ritrarre Daniel nella sua impotenza, nella sua solitudine: anche l’incontro in prigione con Dorothea (del tutto improbabile sul piano storico) è e resta un fallimento. Il povero Stauber avrebbe avuto meno condizionamenti intellettuali, tanto da poter sperimentare una forma alternativa di conoscenza grazie al rapporto “magico” ma instabile con Ursina (una santa? una vivana?), cosa che gli consente per un momento di affacciarsi all’altra dimensione. Tuttavia nemmeno lui si raccapezza più di tanto (ed io con lui): forse un’intuizione, un sogno, una visione, ma non molto di più.

Ho dunque preferito tentare l’impresa di dar voce direttamente a quelle donne, non solo a quelle poveracce illetterate finite in catene, o al rogo, ma a tutto quell’universo che sta dietro a loro, mille e mille anni di cultura femminile soffocata dal processo storico che ha segnato l’affermarsi dell’Occidente. Ma uno scrittore “maschio”, per quanto ben disposto ed istruito, di quell’universo non riesce che a cogliere qualche piccolo brandello, “Fragmenta” insomma...

6 commenti:

  1. Non metto in dubbio che per Fabio sia stata una sfida cercare di raccontare la relazione fra Daniel e Dorothea (e fra Peter e Ursina). Sarebbe stato difficile raccontare qualsiasi rapporto donna-uomo di quel tempo, in quel contesto. In ogni modo Fabio ha centrato un punto delicato, importante e interessante. E non solo per soddisfare una curiosità storica o per la possibilità di avvicinarsi al mondo femminile, considerato più o meno ‘misterioso’…
    La domanda però che a me interessa è questa: sarebbe/è possibile ricostruire la storia di quella relazione? Che tipo di rapporto ci sarà mai stato fra la donna e l’uomo nelle nostre valli?
    Non c’è dubbio che per garantire la sopravvivenza nelle valli di montagna la divisione di ruoli sia stata chiara e ben definita. Ma al di là dei ruoli? Come si ‘vedevano’ l’un l’altra? Cos’era importante per loro per stare, appunto, fra loro? Quali parole, quali gesti, quali ‘virtù’… Detto in altri termini, fino a che punto il patriarcato ha potuto radicarsi? Mi fa sorridere (e chiaramente piacere) il fatto, per esempio, che in ladino non si abbia la parola per dire ‘padri’ o ‘Väter’ con la connotazione che ben sappiamo. Oppure, ancora, la possibilità di definire i figli e le figlie, sia come ‘fies’ ma soprattutto, e principalmente, per chi ancora parla bene la lingua, come ‘bec/bezes’ (in tutte le sue varianti). Insomma, la lingua aiuta a capire qualcosa ma è veramente troppo poco.
    Se è vero che l’Umanesimo ha dato la stura ad un nuovo modo di vivere il rapporto fra i sessi, caratterizzato dalla ‘polarità’, diversamente dalla ‘complementarietà’ in uso fino ad allora (che dava maggiore libertà, ma soprattutto maggior riconoscimento delle/alle donne), per le nostre valli si pone, così penso, un elemento e un interrogativo in più.
    L’elemento in più è la memoria collettiva fatta di racconti, immagini, sogni, senza dimenticare la lingua. L’interrogativo in più è come e in che modo quell’elemento in più sia stato assorbito dal nuovo sistema, da quella (nuova) visione del mondo che è andata lentamente a coprire e avvolgere un mondo che fatichiamo a ricostruire, e soprattutto, a capire.
    Un altro bel ‘mistero’, insomma.

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  2. Già, proprio un bel mistero. Talpai Oli...

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  3. Caro Fabio, l'idea di andare a vedere il rapporto tra uomo e donna in un passato più o meno remoto sulle Alpi è un'idea stimolante quanto difficile per tutti, non solo per noi maschi in quanto maschi. L'analisi delle parole contenute nelle lingue madri delle montagne potrebbe essere un ottimo strumento, contradditorio certo, ma forse proprio le contraddizioni potrebbero indicarci una strada. Nel cimbro ad esempio non esiste la parola femmina, ma nemmeno moglie, esiste solo baibe che significa Donna. Al pari non esiste la parola marito o maschio (tranne che per alcune specie animali) esiste solo la parola Månn che significa uomo. Sembrerebbe dunque che i rapporti fra sessi fossero rapporti paritari tra Donne e Uomini punto. Molti poi sono gli indizi linguistici che ci porterebbero su una visione matriarcale della vita tra queste montagne. Però... però l'organo sessuale femminile può essere chiamato schånt che significa anche... infamia, disonore e allora come la mettiamo. Meglio affidarsi alla poesia dei fragmenta come hai fatto tu. Meglio continuare ad interrogarci ogni giorno su ciò che siamo come persone, che professarci falsi sacerdoti di una religione femminea che abbiamo nel nostro piccolo contribuito a sconfiggere ogni giorno magari per semplice disattenzione. Poi però se guardo solo ad un secolo fa vedo solo immagini di donne grandi e degli uomini non rimane che il ricordo di fuchi migranti. Ecco forse non sono stato molto chiaro ma parlando di questo argomento, sia riferito ad oggi che al passato, non ho che contraddizioni da proporre, ecco mi verrebbe da dire come uomo che la mia verità è solo nella contraddizione. Per questo sto scrivendo un racconto lungo con voce aspra ed imperfetta di donna, che è la voce della montagna.

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    1. Aspetto con impazienza il tuo racconto, Andrea! e credo che anche Olimpia lo leggerà con interesse. Della quale intanto ti suggerisco di leggere a tua volta gli scritti: il suo romanzo "Le gatte di bottai" sarà presto on line: io lo sto leggendo, molto interessante, sotto l'aspetto adombrato dalla nostra discussione.
      In ogni caso, anch'io sarei prudente nell'assolutizzare i dati provenienti dalle lingue, specie se lessemi isolati. Questi possono sia appartenere a strati linguistici profondi (pertanto comuni a più lingue) oppure anche frutto di prestiti recenti (e perciò altrettanto condivisi da società diverse). Per esempio: "le vergogne" è un modo che l'italiano usa sia per i genitali maschili che femminili. Dunque il Cimbro non mi pare più sessista o meno sessista di altre lingue...

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  4. interessante discussione...complimenti.
    Se il libro appena uscito, l'ho finito in tre giorni, poi l'ho dovuto riprendere e rileggerlo: alcune pagine meritavano una profonda riflessione...
    Angela Chiocchetti

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  5. …sulla relazione donna-uomo nel periodo medievale c'è una bella letteratura in lingua spagnola (qualcosa è stato tradotto in italiano). In particolare, vi consiglio i lavori di Maria-Milagros Rivera Garretas e di Carmen Caballero Navas (quest'ultima su donne e magia in particolare).

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